RAY CONNOLLY - SE ELVIS NON FOSSE MORTO 40 ANNI FA

Ray Connolly, famoso scrittore inglese, autore del libro "Being Elvis: A Lonely Life", che si è occupato già in passato di Elvis Presley e che l'ha incontrato tante volte, ha voluto fare alcune considerazioni, ipotizzando come sarebbe stata, a suo modo di vedere, la vita di Elvis se non fosse morto 40 anni fa.
Secondo lui sarebbe andata più o meno così...
Stava sognando o stava morendo? Non lo sapeva. Un minuto prima era a Graceland, nel bagno, a leggere un libro sulla Sacra Sindone di Torino. La cosa successiva di cui ha preso coscienza, era di essere in un letto del Baptist Memorial Hospital a Memphis, mentre guardava una notizia alla tv, in cui si diceva che il giorno prima, il 16 agosto 1977, aveva avuto un attacco di cuore.
La sua vita, diceva il presentatore in tv, è stata salvata quando la sua fidanzata ventenne, addormentata nella stanza adiacente, è stata svegliata dal suono del suo corpo svenuto che atterrava sul pavimento.
Era già stato ricoverato in ospedale prima. Ma questa volta era diverso.
“Elvis” gli disse il cardiologo “per il modo in cui hai usato il tuo corpo fino ad ora, non dovresti essere qui oggi. I medici che ti hanno portato qui hanno fatto di tutto per salvarti la vita”.
Elvis non rispose. Quello di cui voleva parlare era qualcosa che gli era capitato nelle ore durante le quali era rimasto incosciente. Perché aveva incontrato sua madre, Gladys.
Giovane e magra, gli parlò nello stesso modo in cui gli parlava quando aveva 12 anni, e lo incoraggiava a prendere la chitarra per il suo compleanno, anziché la bicicletta o il fucile da caccia che lui voleva.
“Puoi suonarla mentre canti, e tu sai che alle persone piace sentirti cantare” lei gli ricordò. Poi se ne andò e lui non riuscì a seguirla.
Il dottore sorrideva mentre Elvis gli raccontava il suo incontro.
“Tua madre è morta molti anni fa, Elvis” gli disse. “Le cose che ti abbiamo dovuto dare quando sei arrivato, possono causare allucinazioni per un po’ di tempo. E’ stato solo un sogno. Passerà”.
Eppure non era stato un sogno per Elvis. Dal giorno in cui sua madre morì, quando lui aveva 23 anni, non ha mai dubitato che si sarebbero incontrati nuovamente. Averla vista è stata quasi un’esperienza di pre-morte.
Ma lei l’ha rimandato indietro. Perché?
Cercò di ricomporre questo puzzle misterioso per settimane, mentre i dottori facevano il loro lavoro, cercando di curare il suo cuore ed iniziando un programma di disintossicazione sugli altri organi danneggiati.
Naturalmente suo padre e cugini, presenti e passate fidanzate, e alcuni degli amici che lavoravano per lui, gli fecero visita.
Era bello vedere la sua ex moglie Priscilla e sua figlia di 9 anni, Lisa Marie, arrivate in aereo da Los Angeles.
Priscilla, lui non poteva fare a meno di rendersene conto, era diventata una brillante e sofisticata donna negli ultimi 5 anni, da quando avevano divorziato.
Anche il Colonnello Parker, il suo manager, venne a fargli visita, indossando una camicia hawaiiana e tirando fuori da una cartellina trasparente alcuni fogli e una penna.
Fingendosi stanco, Elvis non volle né leggere né firmare i documenti. Sua madre non si era mai fidata di quell’uomo, ed era lei che dominava i suoi pensieri adesso. Inoltre, lui aveva bisogno di tempo per riflettere.
Ogni giorno l’infermiera gli portava biglietti con auguri di pronta guarigione e giornali in cui si leggeva che la sua “quasi” morte aveva creato sgomento e poi sollievo in tutto il mondo.
Gli unici articoli di stampa che aveva letto negli ultimi anni non facevano che prenderlo in giro per il suo peso, chiamandolo anche “Singing Cheesburger” (il cheesburger che canta), oppure insulti o critiche per i suoi concerti confusi.
Imprigionato nella gabbia della popolarità, iniziò a supporre che tutti quei nuovi cantanti, come gli Eagles, Led Zeppelin e David Bowie, ridevano di lui, vedendolo come una triste reliquia di mezza età. Dopotutto, aveva 42 anni.
Ma i biglietti e le lettere di persone come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young ed Elton John raccontavano una storia diversa. Apparentemente avevano ancora rispetto per lui. Ne fu stupito.
Poi, un giorno, ricevette una visita a sorpresa. Era il chitarrista Scotty Moore, con cui aveva iniziato molti anni prima la sua carriera. A sua madre era sempre piaciuto Scotty, così gli chiese cosa significasse secondo lui quell’apparizione che aveva avuto.
“A me sembra che lei sia venuta da te per dirti che non è ancora il tuo momento” Scotty azzardò.
“Che hai ancora del lavoro da fare e che ti è stata data una seconda possibilità”.
“Una seconda possibilità?” ripetè Elvis. E fu così.
Elvis iniziò a seguire la linea di condotta di Gladys. Ma non sarebbe stato come prima quando, trattato come una mucca da mungere per il Colonnello, era sonnambulo in mezzo a due dozzine di film di serie B che odiava e cantava canzoni che detestava.
Non ci sarebbero stati più vestiti di strass bianchi. A Priscilla non sono mai piaciuti. E non ci sarebbe stato nemmeno l’entourage della Memphis Mafia. Se non era in tour o a Las Vegas, non aveva bisogno di loro.

Quella notte diede istruzioni all’infermiera affinchè distruggesse nell’inceneritore dell’ospedale tutti i documenti che il Colonnello gli aveva portato.
Quando fu finalmente pronto per tornare a casa a Graceland, chiese ai suoi avvocati di iniziare a sciogliere il suo contratto con il Colonnello, che si arrabbiò. Avendo milioni di dollari di debiti al gioco, al Colonnello serviva Elvis come cliente da far lavorare. Ma Gladys aveva finalmente vinto la battaglia.
Poi, all’inizio dell’estate del 1978, con i suoi capelli non più tinti di nero, ma tornati al loro castano naturale punteggiati di molto grigio, guidò per 200 miglia verso Nashville per raggiungere Scotty in un piccolo studio affittato.
Nelle sue mani c’era il demo di una canzone dal titolo “Fire” che gli era stata inviata da Bruce Springsteen poco prima del suo attacco cardiaco. Per due decenni tutti gli autori avevano dovuto sentirsi dire dagli agenti del Colonnello Parker che dovevano cedere alcuni dei loro diritti se volevano che Elvis incidesse le loro canzoni.
Ma quella clausola ora non era più valida.
Elvis avrebbe cantato quello che voleva e “Fire” era un rock’n’roll sensuale. Quando ebbe finito, si rivolse verso la canzone di Dolly Parton “I Will Always Love You”.
Avrebbe voluto inciderla tre anni prima, ma non se ne era più parlato quando Dolly si rifiutò di rinunciare ad una parte delle sue royalties. Lui non la colpevolizzò per questo. Poi c’era “500 Miles”, che lui e Priscilla erano soliti cantare quando avevano amici a cena, e “You Are My Sunshine”. Questa fu la prima canzone che cantò davanti ad un pubblico, in un duetto con una ragazzina a scuola.
“Ol’ Man River” c’era anche…con la sua frase “He don’t plant taters, he don’t plant cotton…”, che gli ricordava sempre sua madre, quando lui era un bambino e lo portava con lei avvolto in una coperta, quando andava a raccogliere il cotone.
Fu l’album che più di tutti aveva la sua impronta personale e quando venne pubblicato appena un anno dopo il suo infarto, divenne il suo album più venduto dagli anni 50.
Per anni aveva cercato buon materiale da incidere, ma ora tutti i migliori autori volevano che Elvis incidesse le loro canzoni. Così quando Freddy Mercury gli inviò “Crazy Little Thing Called Love”, voleva dire che lui, non i Queen, aveva la canzone in classifica.
I successi continuavano ad arrivare insieme al meglio dei musicisti, tra cui Ringo Starr ed Eric Clapton, in coda per suonare con lui.
Aveva sempre sentito di aver fallito ad Hollywood, con i produttori che lo avevano scaricato alla fine degli anni 60, quando il pubblico si stufò di ragazze, spiaggia e canzoni in stile Blue Hawaii.
Ma ora aveva scoperto che le persone che lavorano in quel settore ci mettono poco a sviluppare un’amnesia quando sentono profumo di soldi, e la svolta arrivò quando venne scelto al posto di Harrison Ford per il ruolo del poliziotto nel film “Witness”. Ford, a quanto pare, era troppo associato al suo personaggio di “Star Wars”.
Altri film seguirono.
Naturalmente ci furono delusioni… La decisione di scegliere lui per affiancare Julia Roberts in “Pretty Woman” fece volare il suo ego negli anni 90, ma la differenza di età tra i due protagonisti non entusiasmò molto il box office.
Le voci intorno ad Hollywood dicevano che avrebbero dovuto scegliere Richard Gere.
Ma la sua parte in “Shawshank Redemption” al fianco di Morgan Freeman nel 1994, fu una scelta saggia e gli fece guadagnare una nomination all’Oscar.
Nell’insieme, la metà degli anni 90 fu un buon periodo per Elvis, quando gli venne chiesto di cantare, non solo al Super Bowl, ma anche alla Casa Bianca per l’amico del Sud e fan, il presidente Bill Clinton.
Essendo Elvis, ovviamente non mancarono mai ragazze e reginette di bellezza, troppo giovani per lui. Pertanto, non tutto cambiò. Ma ora con Priscilla divenuta un’attrice, con una partecipazione a Dallas e poi nella trilogia di “Una Pallottola Spuntata”, e Lisa Marie che stava crescendo a Los Angeles, si ritrovò a trascorrere molto più tempo in California.
Questo significa che potè stare più vicino a sua figlia, specialmente quando dovette usare tutto il suo potere per farla desistere dall’idea di sposare Michael Jackson. Elvis si sentiva responsabile del fatto di averli fatti conoscere quando avevano 6 anni.

Per quanto riguarda Priscilla, lei poteva aver avuto altre relazioni dopo il loro divorzio, e anche essersi risposata, ma lui aveva sempre la sensazione che lei fosse sua in qualche modo, e che il loro matrimonio fosse per sempre.
Sempre generoso, quasi fino all’incoscienza, poco dopo il suo infarto, decise di fondare la “Elvis Presley Clinic For Addiction” a Memphisun luogo utile, secondo lui, in cui investire metà dei suoi guadagni, che il Colonnello Parker aveva dilapidato a Las Vegas.
Per anni avrebbe voluto andare in Gran Bretagna, ma solamente all’età di 45 anni riuscì ad arrivarci, non per cantare, ma solo come turista.
Ai giorni nostri, all’età di 82 anni, lo si può vedere a Wimbledon, tra coloro che seguono il tennis, oppure a stuzzicare Tom Jones al “Later….with Jools Holland”, dicendogli che la sua versione della canzone “Kiss” di Prince ha venduto più copie.
Ha anche partecipato al “The Graham Norton Show”, sebbene non fosse molto a suo agio quando la conversazione si è trascinata un po’ troppo sul sesso. Non era molto portato a parlare di sesso davanti a delle signore.
Nel 1975, era stato emotivamente pesante per lui aver raggiunto i 40 anni e aveva festeggiato chiuso nella sua camera a Graceland per tutto il giorno, ma raggiungere i 60, poi 70 e poi 80 non fu un problema.
La morte di Scotty Moore, l’anno scorso, è stata una mazzata per lui, ma quest’inverno Elvis sarà nuovamente sul palco insieme alla Royal Philharmonic Orchestra, in tour dove Priscilla, che ora è la sua migliore amica, è produttore esecutivo.
Quello che gli piace ancora più di tutto, comunque, è una grande folla e la sua apparizione al prossimo Glastonbury Festival è sicuro che gliela darà, in quanto – ci è stato detto – sta già pianificando un duetto di “Islands In The Stream” con Adele.

Tutto questo non sembra male per un uomo che avrebbe dovuto morire 40 anni fa.

Source: dailymail.co.uk