1977 - ELVIS PRESLEY FERMA UNA RISSA

La targa in memoria ed a testimonianza dell'evento
Bruce Frey è stato testimone di quella particolare occasione in cui Elvis Presley, nel 1977, è intervenuto, fermando una rissa che stava avvenendo ad una stazione di servizio a Madison, nel Wisconsin.
Ora, dopo oltre 30 anni, Bruce racconta quell'evento per la prima volta in prima persona.

Sono cresciuto a Madison, nel Wisconsin, quando ancora era una piccola cittadina.
Ancora oggi, passo spesso davanti a quella stazione di servizio dove ho incontrato Elvis Presley da ragazzo.
Quella stazione di servizio è rimasta senza proprietario per tanto tempo, ma recentemente sono iniziati i lavori per farne uno stabilimento per auto.
Ogni volta che ci passo davanti, ricordo quell'episodio e mi ritrovo a sorridere.
Il mio incontro con Elvis Presley fu veramente una fortuna, dato che, in quel periodo, riuscire ad incontrarlo era "facile" come vincere la lotteria. Infatti, nell'ultimo periodo della sua vita, Elvis viveva molto isolato e, a parte quando si esibiva in concerto, non era più accessibile ai fans come prima.
Si è scritto molto su questo avvenimento alla stazione di servizio. Lo raccontai subito al giornale locale e la mattina dopo era in prima pagina sul Wisconsin State Journal; ma ora lo voglio raccontare così come l'ho visto.

Il primo concerto di Elvis Presley nella città di Madison è avvenuto il 19 Ottobre 1976, scatenando l'entusiasmo degli abitanti della città per la possibilità di poterlo vedere finalmente in concerto.
Fu un evento talmente speciale che il sindaco di allora, Paul Soglin, proclamò quella giornata "Elvis Presley Day". Subito dopo il concerto, Elvis partì verso la nuova destinazione del suo tour.

Dopo qualche mese, nel 1977, Elvis torna a Madison per esibirsi nuovamente.
La sera del 23 Giugno 1977 era una delle solite serate, in cui non c'era praticamente nulla da fare. I miei genitori erano usciti e mi avevano assegnato il compito di vegliare sulle mie sorelle più piccole.
Non ricordo cosa mi abbia indotto all'ultimo minuto a recarmi all'aeroporto Four Lakes per vedere atterrare l'aereo di Elvis. 
Per ragioni che non so spiegare, una delle mie sorelle ed io salimmo sulla mia Pontiac e andammo verso l'aeroporto.
Dirigendomi dentro al parcheggio dell'aeroporto, mi sono ritrovato davanti una folla di gente.
Chiesi a molti fans notizie sull'orario di arrivo dell'aereo, ricevendo molte risposte diverse, non fidandomi di nessuna di esse.
Pregustando l'arrivo dell'aereo, io e mia sorella ci avventurammo dentro ad un piccolo terminal vicino alla pista.
La porta era aperta e non c'era nessuno, a parte due uomini fermi nell'atrio. Vedendo che erano le uniche presenti, ci dirigemmo verso di loro per chiedere se avevano informazioni sull'arrivo di Elvis.
Man mano che ci avvicinavamo a loro, li riconobbi: uno era il Colonnello Parker e l'altro era Vernon Presley.
Mi rivolsi al Colonnello Parker, fingendo di non sapere chi fosse, e gli chiesi per che ora era previsto l'arrivo di Elvis. 
Sapendo con chi avevo a che fare, sono sicuro di una cosa: avrei potuto ricevere una risposta, ma con il suo modo di fare carnevalesco, senza riuscire a sapere qualcosa di preciso.
Tornai con mia sorella nell'area della pista, vedendo che la folla si era raddoppiata, facendo di tutto per avere la migliore visuale possibile.
L'arrivo di due limousine e di una scaletta per far scendere i passeggeri dell'aereo, mi confermava che l'arrivo era imminente.
Era poco prima di mezzanotte.
Scesero dall'aereo per prime alcune persone dell'entourage di Elvis e subito dopo, sentendo la folla urlare sempre più forte, la mia attenzione si rivolse nuovamente verso l'aereo, mentre Elvis appariva sulla porta.
Mentre Elvis saliva sulla sua limousine, feci quello che avrebbe fatto chiunque, trovandosi in mezzo ad una folla simile: cercai di uscire da quel trambusto, caricandomi mia sorella sulle spalle e dicendole "Penso che qui non ci si altro da vedere, andiamocene".
La mia decisione di andarmene prima degli altri fu l'inizio di una serie di eventi iniziati proprio quella sera: non immaginavo, infatti, che, tornando verso casa, stavo per fare esperienza dell'ultimo episodio che vedeva protagonista Elvis Presley ad una stazione di servizio.
Speravo che i miei genitori non fossero ancora tornati a casa e, nel caso non fosse così, una delle mie sorelle coprisse la mia fuga. Non volevo scoprissero che avevo mancato il compito che mi avevano assegnato.
Mentre mi avvicinavo al luogo in cui c'era l'area di servizio, notai una limousine nera ferma, sebbene ci fosse il semaforo verde.
Spazientito, pensai di aggirarla e proseguire per la mia strada. Mentre ragionavo sul da farsi, guardai più da vicino l'auto, cercando di capire che guasto poteva avere o se era stata coinvolta in un incidente.
Guardai alla mia destra e notai confusione nella stazione di servizio. C'erano tre persone: un giovane custode con un portablocco che stava controllando i dati della pompa di carburante e due ragazzi che lo stavano affrontando a suon di urla.
Mentre tentavo di capire dal loro gesticolare cosa stava succedendo, mi resi conto che i due ragazzi cercavano di mettere le mani addosso al custode.
In quel momento la portiera destra della limousine si aprì in modo violento e riconobbi subito Elvis Presley uscire dall'auto e dirigersi velocemente verso le tre persone che litigavano.
Dissi a mia sorella: "Quello è Elvis Presley".
Scesi dall'auto e andai pure io verso di loro. Quando arrivai, Elvis mi guardò per capire da che parte mi sarei schierato.
Alzai le mani, per far capire che non ero parte in causa, mentre Elvis continuava a camminare.
Vidi Elvis posizionarsi dietro i due ragazzi, senza che loro si accorgessero della sua presenza e mettersi in una posizione propria delle arti marziali.
A questo punto la situazione divenne ancora più strana di quanto non lo fosse già: i due ragazzi smisero per un attimo di picchiare il custode, rimanendo tutti e tre fermi immobili, a bocca aperta e addirittura, il pugno di uno dei tre rimase fermo a mezz'aria.
Il custode ne approfittò per fuggire. Mentre scappava, i suoi piedi non riuscirono a tenere la velocità che avrebbe voluto, facendolo inciampare e cadere almeno tre volte prima di mettersi in salvo.
Provai compassione per quel custode così traumatizzato per quello che gli era accaduto.
Più tardi venni a sapere che la causa del suo comportamento era soltanto cercare un telefono per chiamare gli amici e dire loro che Elvis Presley era alla stazione di servizio.
Elvis chiese, in modo guardingo, agli altri due se era tutto finito. I due garantirono ad Elvis che era tutto OK, si scusarono e gli strinsero la mano.
Dietro ad Elvis arrivarono Dick Grob e Sam Thompson, ed insieme a loro c'era un detective della polizia locale di Madison.
Mi ritrovai a guardare questa leggenda del rock'n'roll, che mi stava alla distanza di un braccio e che mi fece uno dei suoi famosi sorrisi.
I suoi capelli erano nerissimi con lunghe basette. Indossava un giubbino di nylon colore blu scuro, con larghe righe bianche sulle maniche e pantaloni uguali. Sul lato sinistro del giubbino c'era scritto "Dea Staff".
La cerniera del giubbino gli arrivava fin sul petto e, sotto, potevo vedere il luccichio di un suo costume di scena. Il colletto alto era evidente, come anche le catene dorate della cintura che indossava.
Si può dire che, parzialmente, era ancora abbigliato come sul palco, coperto da questo giubbino blu e pantaloni uguali.
Il suo peso presumibilmente si aggirava sui 230 pounds ed era evidente che fosse un po' appesantivo, ma non di certo obeso come i media volevano far credere.
Il suo sguardo era limpido e il suo famoso sorriso fu presente per tutto il tempo dell'incontro.
Nello studiare il suo viso, notai - sebbene gli anni fossero passati anche per lui e fosse un po' appesantivo - quello stesso volto divenuto famoso in tutto il mondo già dagli anni 50.
Mi avvicinai a lui di qualche passo e gli tesi la mano, cercando di essere rilassato, e presentandomi; Elvis la strinse e mi ricordo di avergli detto: "Non mi aspettavo di incontrare Elvis Presley ad una stazione di servizio di Madison a quest'ora".
Elvis rispose che si doveva esibire la sera successiva. Gli risposi che avevamo i biglietti e saremmo andati a vederlo.
Mentre questa piccola conversazione andava avanti, venimmo interrotti da un urlo: "E' lui, è il re". Mi ritrovai davanti 30 persone, numero che cresceva sempre di più.

Elvis, rendendosi conto di quello che stava succedendo, firmò un paio di autografi e fece un paio di fotografie; dopodiché salutò tutti e disse semplicemente "Dobbiamo andare".
Me ne andai anche io, attonito.