Quel sabato di Maggio del 1956, Norman Mitham, Terry Smart ed io facemmo una passeggiata. Avevamo intenzione di fare le solite cose: uscire nel parco, dare un'occhiata ad un paio di negozi, prendere una tazza di tè in un bar, magari passare da Marsden per ascoltare un nuovo singolo o due.
Ma poi, davanti all'edicola Aspland, abbiamo visto l'auto parcheggiata.
Era un'auto francese, una Citroën verde, con il posteriore curvo e originale. Non ne vedevi molte nelle zone rurali dell'Hertfordshire, quindi siamo andati in quella direzione per darle un'occhiata. E lì, attraverso il finestrino aperto, abbiamo sentito la canzone trasmessa dall'autoradio.
"We-eee-ll, since my baby left me..."
Eh? Che cos'è quella?
Norman, Terry ed io ci fissammo a bocca aperta. E mentre lo facevamo, un ragazzo corse fuori da Aspland, saltò in macchina, gettò le sigarette ed il giornale sul sedile del passeggero, accese il motore e partì. La musica dal suono alieno svanì lungo la strada insieme alla Citroën.
Wow! Non avevo mai sentito niente di simile in vita mia! Norman, Terry ed io passammo l'intero pomeriggio a discutere su quanto fosse fantastica la canzone e su come dovevamo scoprire di cosa si trattasse. Quando lo vidi a scuola quel lunedì mattina, Norman sorrideva trionfante.
"Ho sentito di nuovo quella canzone su AFN!" proclamò. "Si chiama "Heartbreak Hotel", ed è opera di un tizio che si chiama Elvis Presley!".
Beh, ci divertimmo molto su che nome stupido fosse: "Elvis? Chi viene chiamato Elvis?"
Ma, più precisamente, avevo deciso che dovevo avere la canzone.
Sembrava che Elvis stesse cantando per me. Per me.
Nessuno della mia età, nessun adolescente, si sarebbe mai ispirato a Frank Sinatra o a Bing Crosby, o avrebbe voluto essere come loro. Elvis era diverso. Sembrava così giovane, così bello e la sua voce faceva sparire tutto il resto. Sembrava appassionato e potente. Sembrava che avesse dei segreti che dovevi imparare.
Stranamente, non ero così preoccupato per il testo di "Heartbreak Hotel". Era esattamente quello che ci si aspettava: una canzone strappalacrime, come lo sono tanti grandi brani rock 'n' roll. Ma ciò che mi entusiasmò furono i ritmi della musica, le battute, la sensazione, l'atteggiamento. Il senso che qualcosa stesse nascendo. Qui, proprio davanti alle mie orecchie, Elvis stava dando al rock 'n' roll una nuova forma.
Immediatamente diventò un'ossessione. Iniziai a cercare di scoprire tutto quello che potevo su Elvis. Quando vidi per la prima volta una sua fotografia, non potevo credere a quanto fosse bello: quel ciuffo! Quel labbro arricciato! E quando capii che aveva già pubblicato un album, dovevo assolutamente averlo.
Trovai un lavoro durante le vacanze nella raccolta delle patate in una fattoria locale. Stavo lì, tutto il giorno, piegato in due e tiravo fuori patate dalla terra per uno scellino l'ora. La noia ed il mal di schiena valsero la pena quando misi da parte i soldi e tornai da Marsden per comprare "Elvis Presley". "Heartbreak Hotel" non era nel disco, ma non mi importava: c'erano così tante nuove canzoni da amare.
Mi piacque tantissimo l'apertura, "Blue suede Shoes", con la sua voce ed i suoi ritmi frenetici.
Adoravo "I'm Left, You're Right, She's Gone", dove la voce tremante di Elvis raccontava storie di abbandono.
Adoravo "Lawdy Miss Clawdy", con il suo pianoforte honky-tonk, il suono pazzesco e la voce dolorante.
Diamine, ho amato ogni singola nota del disco.
Non ero l'unico membro della famiglia appassionato di Elvis. Mia sorella maggiore, Donna, che allora aveva 13 anni, lo adorava. Alla fine del 1956 la portai al cinema per vederlo protagonista di "Love Me Tender". Singhiozzò.
"Harry, puoi prestarmi il tuo fazzoletto?" Quando lo restituì, non era semplicemente bagnato. Era strappato.
Decisi di fare quanto mi era umanamente possibile per sembrare identico a lui.
Il ciuffo fu la prima cosa, ovviamente. Iniziai a passare ore davanti allo specchio del bagno, spostandomi i capelli dietro la testa e cercando di sistemarli con la Brylcreem e non ero l'unico ragazzo a Cheshunt a farlo. Ero abbastanza soddisfatto delle mie abilità con la Brylcreem, ma non fu mai bello come quando Elvis aveva solo alcune ciocche che si staccavano dal suo ciuffo e gli pendevano sulla fronte. Non sono mai riuscito a riprodurlo.
Il mio amore per Elvis ebbe ripercussioni anche sulla mia dieta. Quando lessi sulla rivista "Girlfriend" che gli piaceva mettere burro di arachidi e marmellata (o "gelatina", come la chiamano gli americani) sul suo toast, iniziai anch'io a mangiarlo così. Era un gusto a cui dovevo abituarmi, ma sono riuscito ad accettarlo.
"Ecco come lo mangia Elvis!" mi sono detto. "Deve avere un sapore eccezionale per forza!".
Quando iniziai ad avere successo, mi chiamarono "l’Elvis inglese" o la "risposta britannica a Elvis". Come ho sempre detto, quella seconda descrizione ignorava un fatto fondamentale: Elvis non era una domanda.
Non penso più: "Cosa farebbe Elvis?" ogni volta che devo prendere una decisione importante, come facevo nei primi anni. Ci sono già passato. Ho smesso di essere l'Elvis inglese ed ho iniziato ad essere me stesso, Cliff Richard, molto tempo fa.
Mi sento ancora come se gli dovessi tutto, però. Ci sono molte mattine in cui mi sveglio alle Barbados, mi alzo, guardo i Caraibi fuori dalla finestra della mia camera da letto e mi chiedo: "Come diavolo ho fatto ad arrivare da Cheshunt a qui? E la risposta è: Elvis Presley".
Source: The Guardian