Il libro viene presentato così:
Elvis regna come icona suprema della cultura americana del XX secolo, eppure veniva percepito come profondamente non-americano nei primi anni della sua carriera a causa del suo personale adattamento della controversa musica R&B e delle sue esibizioni sul palco nell'America conservatrice di Eisenhower.
Il libro vuole esplorare la trasformazione di Elvis Presley da "profondo nemico" dell'America ad arma potente nel periodo della guerra fredda, dimostrando il potere della cultura popolare nel modellare le percezioni degli Stati Uniti, sia in patria che all'estero, e rivelando come il processo venne guidato da giornalisti e compagnie discografiche, che hanno lavorato senza sosta per "vendere" Elvis in un ambiente politico ostile, culminando con l'influenza del cantante sul fronte europeo della guerra fredda.
Lo scrittore intende dimostrare come Elvis Presley, sinonimo della cultura americana, si sia rivelato un'arma a doppio taglio, visto che la sua celebrità sembrava rivendicare stereotipi anti-americani, già presenti da molto tempo in Europa.
Tutto questo prese particolare consistenza durante gli anni '70, quando il declino personale di Elvis sembrò rispecchiare l'America post-Vietnam e post-Watergate.
Tracciando la storia di Elvis, dalla sua ascesa negli anni '50 fino alla sua tragica morte nell'Agosto del 1977, il libro utilizza una nuova ricerca di archivio, per offrire un resoconto sul cambiamento dell'identità degli Stati Uniti durante la guerra fredda, costringendoci a considerare nuovamente il ruolo della musica popolare e del consumismo nella lotta culturale tra Oriente ed Occidente.
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