In un pezzo pubblicitario per promuovere il nuovo musical "This is Elvis: Burbank and Vegas", che andrà in tour in Inghilterra a breve, l'autore Phillip Norman ha scritto un lungo articolo per il tabloid inglese "The Daily Mail".
Tra i commenti più interessanti si legge: "...il vero motivo per cui Elvis Presley non è mai venuto in tour in Gran Bretagna è perchè il suo manager era un immigrato clandestino in America, terrorizzato dal fatto che potessero rispedirlo al suo Paese".
In un'afosa notte del 1968, un ristretto pubblico stava nervosamente stipato dentro uno studio della NBC-TV di Burbank, in California.
La tensione che si respirava era più adatta ad un discorso del Presidente americano in un momento di crisi internazionale, piuttosto che ad uno spettacolo di intrattenimento, perchè questi spettatori privilegiati sapevano che stavano per prendere parte alla più grande emozione della loro vita...oppure alla più grande delusione.
La star dello spettacolo, nel frattempo, dietro alle sue guardie del corpo, stava soffrendo le agonie del panico da palcoscenico. Mentre i minuti passavano e si avvicinava il momento di salire sul palco, continuava a combattere contro l'istinto di saltare dentro alla sua limousine e scappare verso la salvezza della sua casa, Graceland, a Memphis.
Il suo nome è Elvis Presley! E stava per fare la sua prima apparizione televisiva dal vivo degli ultimi 7 anni.
Il mondo dello showbusiness e dello sport hanno testimoniato grandiosi ritorni, quando le stelle hanno rifiutato di ammettere la fine naturale delle loro carriere e hanno reinventato loro stessi per una nuova generazione, oppure, a volte, per i posteri.
C'è stata Judy Garland, con il film "A Star Was Born" negli anni '50, Muhammed Ali come campione dei pesi massimi nel 1974 e Frank Sinatra come "Ol' Blue Eyes" negli anni '80.
Tra i commenti più interessanti si legge: "...il vero motivo per cui Elvis Presley non è mai venuto in tour in Gran Bretagna è perchè il suo manager era un immigrato clandestino in America, terrorizzato dal fatto che potessero rispedirlo al suo Paese".
In un'afosa notte del 1968, un ristretto pubblico stava nervosamente stipato dentro uno studio della NBC-TV di Burbank, in California.
La tensione che si respirava era più adatta ad un discorso del Presidente americano in un momento di crisi internazionale, piuttosto che ad uno spettacolo di intrattenimento, perchè questi spettatori privilegiati sapevano che stavano per prendere parte alla più grande emozione della loro vita...oppure alla più grande delusione.
La star dello spettacolo, nel frattempo, dietro alle sue guardie del corpo, stava soffrendo le agonie del panico da palcoscenico. Mentre i minuti passavano e si avvicinava il momento di salire sul palco, continuava a combattere contro l'istinto di saltare dentro alla sua limousine e scappare verso la salvezza della sua casa, Graceland, a Memphis.
Il suo nome è Elvis Presley! E stava per fare la sua prima apparizione televisiva dal vivo degli ultimi 7 anni.
Il mondo dello showbusiness e dello sport hanno testimoniato grandiosi ritorni, quando le stelle hanno rifiutato di ammettere la fine naturale delle loro carriere e hanno reinventato loro stessi per una nuova generazione, oppure, a volte, per i posteri.
C'è stata Judy Garland, con il film "A Star Was Born" negli anni '50, Muhammed Ali come campione dei pesi massimi nel 1974 e Frank Sinatra come "Ol' Blue Eyes" negli anni '80.
Ma niente fu più memorabile di quel momento, 50 anni fa quest'anno, quando Presley è tornato da una specie di oblio ad Hollywood, dove faceva film musicali, per riprendersi la corona di Re del Rock'n'Roll.
Ad oggi è difficile credere che un tale auto-rinnovamento potesse essere necessario. Infatti, da quando è morto improvvisamente di infarto nel 1977, a soli 42 anni, l'adorazione postuma nei suoi confronti è cresciuta fino a sorpassare quella per John Lennon.
Da nessuna parte il suo ricordo è più caro che in Gran Bretagna, e non solo da amanti del rock di una certa età, che sono stati scaldati da "Hound Dog", "Blue Suede Shoes" e "Heartbreak Hotel" a suo tempo!
"Elvis ha lasciato l'edificio", ha proclamato un recente titolo "ma la sua eredità continua ad andare avanti".
("Elvis may have left the building, but his legacy goes marching on").
Eppure ci fu un momento alla fine degli anni '60 in cui anche i più fedeli sudditi del Re hanno dovuto ammettere che era stato detronizzato da pretendenti inglesi come i Beatles ed i Rolling Stones.
Il modo in cui è tornato, con la veemenza di un temporale, e ciò che ha scatenato è il fulcro del musical "This Is Elvis: Burbank and Vegas", che inizia il suo tour questa settimana.
"This Is Elvis" racconta come un talento supremo si è ribellato alla condizione di essere sottovalutato, sfruttato e ridotto ad un articolo a prezzo di svendita...per poi finire la sua vita troppo breve dentro ad una prigione virtuale, illuminata dalle luci di Las Vegas.
Tragicamente, il più brillante e talentuoso degli artisti è stato gestito da un manager di saltimbanchi chiamato Tom Parker, che ha ricevuto il grado di Colonnello da una milizia del Sud, e che ha continuato a trafficare senza vergogna anche dopo la sua morte.
Il Colonnello non ha mai compreso nemmeno lontanamente il dono di Elvis Presley, e l’ha trattato sempre come un'attrazione da circo per fare soldi, come la Donna Barbuta o qualcosa di simile.
In comune con la maggior parte delle persone sopra i 30 anni, Parker pensava che il rock fosse una specie di capriccio che sarebbe scomparso nel giro di pochi mesi.
Ha deciso, quindi, di trasformare una forza della natura, un talento unico, in un personaggio dello show business. Negli anni '70, Parker voleva che il suo ragazzo continuasse a guadagnare le fortune di Las Vegas, di cui lui prendeva il 50% di commissioni.
Giocatore d'azzardo al limite della compulsione, Parker fece accordi anche con gli hotels, incluso un credito a fondo perduto con il casinò.
Il gran finale (del musical) è "American Trilogy", la combinazione di "Dixie", "Battle Hymn Of The Republic" ed il vecchio spiritual "All My Trials", nel quale, tristemente, Elvis sembra profetizzare il suo stesso destino alla figlia Lisa Marie:
"So hush little baby, don’t you cry (Pertanto, piccolina, non piangere)
You know your daddy’s bound to die..." (Sai, il tuo papà sta per morire)
La storia di Elvis Presley è la Grande Tragedia Americana.
Ma un musical non può solamente raccontare il declino di una star del calibro di Elvis Presley.
E' il motivo per cui un intero atto del musical "This Is Elvis" è dedicato al suo primo spettacolo a Las Vegas del 1969, quando così tante possibilità sembravano prospettarsi all'orizzonte".
Source: elvisinfonet
Ad oggi è difficile credere che un tale auto-rinnovamento potesse essere necessario. Infatti, da quando è morto improvvisamente di infarto nel 1977, a soli 42 anni, l'adorazione postuma nei suoi confronti è cresciuta fino a sorpassare quella per John Lennon.
Da nessuna parte il suo ricordo è più caro che in Gran Bretagna, e non solo da amanti del rock di una certa età, che sono stati scaldati da "Hound Dog", "Blue Suede Shoes" e "Heartbreak Hotel" a suo tempo!
"Elvis ha lasciato l'edificio", ha proclamato un recente titolo "ma la sua eredità continua ad andare avanti".
("Elvis may have left the building, but his legacy goes marching on").
Eppure ci fu un momento alla fine degli anni '60 in cui anche i più fedeli sudditi del Re hanno dovuto ammettere che era stato detronizzato da pretendenti inglesi come i Beatles ed i Rolling Stones.
Il modo in cui è tornato, con la veemenza di un temporale, e ciò che ha scatenato è il fulcro del musical "This Is Elvis: Burbank and Vegas", che inizia il suo tour questa settimana.
"This Is Elvis" racconta come un talento supremo si è ribellato alla condizione di essere sottovalutato, sfruttato e ridotto ad un articolo a prezzo di svendita...per poi finire la sua vita troppo breve dentro ad una prigione virtuale, illuminata dalle luci di Las Vegas.
Tragicamente, il più brillante e talentuoso degli artisti è stato gestito da un manager di saltimbanchi chiamato Tom Parker, che ha ricevuto il grado di Colonnello da una milizia del Sud, e che ha continuato a trafficare senza vergogna anche dopo la sua morte.
Il Colonnello non ha mai compreso nemmeno lontanamente il dono di Elvis Presley, e l’ha trattato sempre come un'attrazione da circo per fare soldi, come la Donna Barbuta o qualcosa di simile.
In comune con la maggior parte delle persone sopra i 30 anni, Parker pensava che il rock fosse una specie di capriccio che sarebbe scomparso nel giro di pochi mesi.
Ha deciso, quindi, di trasformare una forza della natura, un talento unico, in un personaggio dello show business. Negli anni '70, Parker voleva che il suo ragazzo continuasse a guadagnare le fortune di Las Vegas, di cui lui prendeva il 50% di commissioni.
Giocatore d'azzardo al limite della compulsione, Parker fece accordi anche con gli hotels, incluso un credito a fondo perduto con il casinò.
Il gran finale (del musical) è "American Trilogy", la combinazione di "Dixie", "Battle Hymn Of The Republic" ed il vecchio spiritual "All My Trials", nel quale, tristemente, Elvis sembra profetizzare il suo stesso destino alla figlia Lisa Marie:
"So hush little baby, don’t you cry (Pertanto, piccolina, non piangere)
You know your daddy’s bound to die..." (Sai, il tuo papà sta per morire)
La storia di Elvis Presley è la Grande Tragedia Americana.
Ma un musical non può solamente raccontare il declino di una star del calibro di Elvis Presley.
E' il motivo per cui un intero atto del musical "This Is Elvis" è dedicato al suo primo spettacolo a Las Vegas del 1969, quando così tante possibilità sembravano prospettarsi all'orizzonte".
Source: elvisinfonet